02 aprile 2014

Autoconsumo nel Network Marketing

L. 173/'05 L. 173 05 legge autoconsumo
L'affiliazione ad un'azienda che distribuisca prodotti o servizi avvalendosi del Network Marketing ed il conseguente rilascio del codice identificativo generalmente comportano un costo estremamente contenuto, se raffrontato a quelli che sia necessario sostenere per avviare un'attività in proprio o divenire franchisee per conto di un marchio famoso: nel caso dell'azienda con cui collaboro principalmente, inoltre, non è richiesto di acquistare prodotti diversi da quelli abitualmente utilizzati – tanto meno in grande quantità – per poi provare a ridistribuirli ai clienti, col rischio che rimangano invenduti e ciò costituisce un ulteriore, innegabile vantaggio.
Nessun prodotto o servizio viene sovrapprezzato per poter assicurare ai distributori dei margini di guadagno apprezzabili, anzi, affiliati e consumatori possono acquistare esattamente ciò che desiderino, o necessiti loro, usufruendo di prezzi commisurati alla qualità delle offerte.
In Italia, però, esistono tuttora forti resistenze culturali ai cambiamenti, compresi quelli che possano riguardare il mercato del lavoro, ed il Network Marketing continua ad essere osteggiato: negli ultimi tempi, in particolare, si è tornati a dibattere il tema dell'autoconsumo, mirando tendenziosamente a far passare il messaggio tale pratica sia illegale, a prescindere dalle modalità con cui venga attuata (chiarirò in futuro chi abbia particolare interesse a veicolare tale messaggio).

Cominciamo coll'analizzare l’art. 4, comma 4 della L. 173/'05, che afferma: “Nei confronti dell’Incaricato alla vendita diretta a domicilio non può essere stabilito alcun obbligo di acquisto:
a) di un qualsiasi ammontare di materiali o di beni commercializzati o distribuiti dall’Impresa affidante, ad eccezione dei beni e dei materiali da dimostrazione strumentali alla sua attività, che per tipologia e quantità sono assimilabili ad un campionario.”
In pratica, secondo questo articolo di legge, è legale perfino la compravendita degli odiatissimi "kit di avvio dell'attività", che ogni azienda affiliante può scegliere come altrimenti denominare e se effettivamente proporre a coloro che richiedano di entrarvi, ma l'aspetto più importante è che il non imponibile obbligo di acquisto si riferisce esclusivamente alle commissioni dirette, cioè, quelle derivanti dalla personale attività di vendita diretta di ciascun distributore.
Non può esistere – infatti, nessuna azienda lo impone – l'obbligo a costituire una downline: chi non desideri costituirla, od intenda provarvi in futuro, può dedicarsi esclusivamente alla vendita diretta e percepire le provvigioni derivanti dall'acquisizione di nuovi clienti o dalla reiterazione degli ordini da parte di quelli che si fidelizzino ai prodotti o servizi che promuova.
Naturalmente, i piani di marketing delle singole aziende prevedono che l'importo delle
provvigioni riscattabili dai distributori, quasi invariabilmente espresso percentualmente, aumenti all'aumentare dei volumi di vendita generati.

Il successivo articolo della predetta legge, invece, prescrive che i distributori effettuino
vendite dirette affinché possano ricevere il pagamento delle provvigioni derivanti dalle vendite dirette degli affiliati (o vendite indirette della downline): tale obbligo evita che i guadagni dei singoli distributori e dell'azienda derivino dal mero reclutamento continuo di nuovi affiliati, cui si vendesse un "kit di avvio dell'attività" una tantum.

Il fatturato minimo richiesto dalle aziende serie equivale al costo di una quantità di prodotti tale da potersi configurare quale
campionario nella vendita diretta: non può essere imposto l'obbligo di acquistare o vendere un minimo di prodotti ogni mese per ricevere le commissioni dalla vendita diretta, mentre è ammissibile che le aziende richiedano un fatturato minimo personale ai distributori per ottenere le provvigioni sulla downline, senza incorrere in sanzioni.

Tutto ciò puntualizzato, per esperienza personale e sulla base di quanto riferitomi da tantissimi aspiranti Network Marketer delusi – traducasi truffati – posso affermare che all'interno di numerosissimi gruppi di lavoro costituiti da affiliati alle più disparate aziende, sia invalsa l'abitudine di esigere che le più giovani leve effettuino reiteratamente acquisti personali (di importo notevolmente più elevato di quelli lecitamente esigibili dalle aziende) per consentire alle upline di conquistare ulteriori e più proficue qualifiche: dovrebbe poi giungere un tempo in cui "addestrare" ulteriori nuove leve a fare altrettanto; in tal modo, non viene trasmesso un metodo di lavoro deontologicamente corretto, tanto meno compatibile con ciò che le policies aziendali formalmente prescrivano: proprio tali pratiche scorrette hanno minato la credibilità di molte aziende e, soprattutto, di tanti Network Marketer che si ripromettessero di lavorare seriamente ed invece, sentendosi truffati, si sono spesso trasformati nei più feroci detrattori del sistema distributivo in esame. Può anche darsi che alcune aziende siano al corrente di tali comportamenti scorretti, ma non li ostacolino per esclusivo tornaconto economico comune: l'importante sarebbe che tutti gli aspiranti Networker, una volta resisi conto di venire truffati, davvero non divenissero conniventi alla reiterazione di un illecito o non adottassero delle
razionalizzazioni, cioè, non si autoconvincessero della possibilità di ottenere risultati diversi dai soliti, pur continuando ad adottare un metodo di lavoro inefficace ed inefficiente!
Occorrerebbe sempre rammentare il Network Marketing sia un'attività di vendita, sebbene dichiararlo onestamente esponga al rischio che poche persone s'iscrivano alle proprie... reti di vendita (odiando l'idea di dover vendere o non sentendosene capaci).
Peraltro, se le upline promuovono un autoconsumo selvaggio e contemporaneamente glissano sulla necessità di vendere direttamente (per indolenza od incapacità di vedere per prime e conseguentemente incapacità di insegnarlo), la sola possibilità di assicurare alla casa-madre elevati volumi di vendita ed a sé la corresponsione di provvigioni elevate rimane il continuo reclutamento di nuovi affiliati che autoconsumino, ricadendo così nell'illegalità secondo quanto stabilito dalla
L. 173/'05, art. 5, commi 1 e 2: "Sono vietate la promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l'incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti, piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati, direttamente o attraverso altri componenti la struttura." e "E' vietata, altresì, la promozione o l'organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, 'catene di Sant'Antonio', che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all'infinito previo il pagamento di un corrispettivo."

Occorre inoltre sottolineare che le
provvigioni riscattabili dalle upline all'interno di aziende che operino in svariate nazioni dipendono dal fatturato mensile mondiale delle stesse aziende, piuttosto che dal solo "livello di efficacia" raggiunto grazie alla propria downline: ciò costituisce un ulteriore, deprecabile incentivo a promuovere l'autoconsumo: consumo di prodotti contingente e fine a se stesso, piuttosto che vendita ai clienti ed assistenza post vendita, da cui potessero scaturire ulteriori ordini in futuro!
Ciò significa anche costringersi a reclutare il maggior numero possibile di persone, senza poterne valutare adeguatamente la motivazione e l'attitudine a svolgere la professione di Network Marketer: esattamente l'incontrario di ciò che dovrebbe avvenire all'interno di un percorso di selezione del personale serio (le upline vorranno far credere il Network Marketing sia per tutti); le conseguenze di tali pratiche scorrette saranno le solite: perdita di tempo – risorsa irrecuperabile – per sé e gli altri; estenuazione sul piano fisico e prostrazione su quello psicologico; irrimediabili abbandoni in capo a poche settimane o mesi ed ulteriore perdita di credibilità (propria e delle aziende), poiché coloro che sentiranno di essere stati illusi o truffati si convinceranno del fatto il Network Marketing non funzioni e diffonderanno vendicativamente questo pensiero; nei casi peggiori, perfino il proprio isolamento sociale! Ne vale la pena?

Sarebbe decisamente meglio imparare a vendere: l'attività di vendita, benché disprezzata e considerata degradante, può essere ritenuta onorevole quanto altre finché concili due interessi, quello di un cliente che necessiti della soluzione ad un problema o di soddisfare un bisogno e quello del venditore, che possa rispondere a tali esigenze coi propri prodotti o servizi!
Vendere è semplicemente ciò: risolvere problemi in cambio della giusta ricompensa: così come non è utile - anzi, può risultare controproducente - sponsorizzare indiscriminatamente, occorre, tuttavia, imparare a raggiungere il giusto target di potenziali consumatori/clienti, avvalendosi degli strumenti adeguati per implementare le proprie campagne pubblicitarie online, monitorarne l'andamento e valutarne gli esiti; inizialmente, sarebbe perfino meglio che ci si dedicasse esclusivamente alla vendita, fidelizzando i clienti, acquisendo conoscenze e competenze successivamente trasferibili alla downline. Per divenire un Network Marketer professionale occorrono tempo, energie, desiderio di investire nella propria formazione, esattamente come per qualsiasi altra professione che si scelga di svolgere in maniera deontologicamente ineccepibile, nell'interesse proprio ed altrui!

Sono certo che Ti sarà utile leggere anche il post incentrato sull'autoship nel Network Marketing, in cui spiego perché tale modalità di consumo possa rivelarsi estremamente profittevole, come decidere se acconsentirvi e, come sempre, cosa fare per avere successo!

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.