01 settembre 2016

Network Marketing e personal branding

soft skills competenze trasversali reti sociali legami deboli gradi di separazione rapporti fiduciari

Fare di se stessi un brand è un'esortazione divenuta abituale nell'ambito lavorativo e conseguentemente, anche in quello del Network Marketing: più che di un obiettivo facilmente raggiungibile e di un esito immodificabile, si tratta di un processo sovente lungo e difficoltoso, ma sempre appassionante, teso al miglioramento di sé, affinché si possa acquisire competitività all'interno di un mercato lavorativo anch'esso in continua evoluzione e, specie per quel che riguardi talune figure professionali, potenzialmente globale; non si riduce, come qualcuno semplicisticamente possa pensare, ad una buona promozione della propria immagine sui social network da cui scaturiscano engagement degli iscritti e conversioni, cioè, vendite dei propri prodotti o servizi. Il personal branding non riguarda le conoscenze acquisibili con lo studio e non migliora quale ineludibile conseguenza delle esperienze lavorative che si compiano nel corso del tempo, semmai, attiene a quei tratti di personalità e, soprattutto, a certe soft skills che rendano ogni individuo unico e talvolta più adatto ad essere favorevolmente accolto dai colleghi di lavoro e dai potenziali clienti; sostanzialmente, più competitivo!
Tali considerazioni si adattano particolarmente alla professione di Network Marketer, poiché ciascuno è l'unico responsabile dei risultati che possa ottenere in termini di vendite e conseguentemente, ottenimento delle qualifiche previste dal piano di marketing dell'azienda prescelta (agli upliner competono obblighi di natura esclusivamente morale nei riguardi di coloro che sponsorizzino: possono formarli all'attività di vendita secondo personali capacità e, naturalmente, avrebbero l'interesse economico a farlo, ma nella realtà si viene quasi invariabilmente e subito abbandonati a se stessi!).
Un Network Marketer in grado di esprimere svariate soft skills, oltretutto molto efficacemente, riconosce nella capacità di dominare le proprie emozioni e contemporaneamente fare leva su quelle altrui al fine delle vendite una ragione del proprio successo; assegna notevole importanza alla capacità di riconoscere i bisogni ed i sentimenti altrui, poiché da ciò deriva la possibilità di conciliare il loro soddisfacimento con quello dei propri quale conseguenza di aumentate vendite; naturalmente, il raggiungimento degli obiettivi professionali che si prefigga è conseguenza anche del mantenimento di un'elevata motivazione ad eccellere e della capacità di mobilitare risorse interne ed esterne atte allo scopo: ricordo sempre io ami definire il Network Marketer un costruttore ed armonizzatore di reti sociali e ciò significhi che possa progredire nell'attività nella misura in cui riesca ad avvantaggiarsi delle competenze altrui, nello stesso tempo in cui ponga le proprie a beneficio degli altri.
Tali competenze trasversali non sono misurabili con la stessa accuratezza di quelle tradizionalmente ricercate – non esistono, ad esempio, delle certificazioni che indichino quanto un potenziale collaboratore possa rivelarsi empatico, mentre sono ben determinabili il grado di conoscenza di un software o qualsiasi altra competenza tecnica specificamente richiesta in precisi contesti lavorativi -, ma sono indispensabili al benessere individuale e collettivo (mirare a svilupparle nei propri collaboratori, specie coloro cui pertengano compiti manageriali, è ormai importantissimo per qualsiasi impresa voglia prosperare negli affari).

Singoli professionisti ed aziende, dunque, sono chiamati a costituire un network di relazioni ed in parte ciò può oggi avvenire grazie ai social network: tutto quanto venga condiviso sulle piattaforme sociali inevitabilmente influisce sulla propria reputazione ed è in aumento il numero di selezionatori che analizzino i profili sociali per farsi un'idea sul conto di coloro che si candidino per una posizione lavorativa; siccome i Network Marketer sono anch'essi dei recruiter, anch'io invariabilmente visito i profili sociali di coloro che mi contattino; peraltro, molto raramente accade che quanti mi contattino lo facciano per chiedermi di essere sponsorizzati all'interno della Compagnia del ganoderma, semmai, caldeggiano le più eterogenee "opportunità di business" che sembrino aver mutato le loro sorti economiche e potrebbero presto fare altrettanto con me: a parte il fatto mi trovi benissimo dove sono, non succede mai che la visita ai loro profili sociali minimamente m'induca a prenderli seriamente in considerazione! Si passa dai profili odiosamente autoreferenziali, a quelli che citino le stesse frasi pseudo motivazionali che legga da decenni a, soprattutto, quelli corredati da una miriade di foto che smentiscano clamorosamente una vita improntata al godimento dei lussi più sfrenati: questi ultimi sono quelli che mi suscitano maggiore tenerezza, ma è un peccato constatare troppe persone non si accorgano di rendersi ridicole!
Sarebbe invece opportuno che gli utilizzatori dei social network mirassero alla propria credibilità e, non meno importante, che, anziché rivolgersi indistintamente agli altri utilizzatori delle piattaforme sociali, individuassero la nicchia di mercato più adatta non tanto alla vendita dei loro prodotti o servizi, quanto a far aumentare la cosiddetta brand awareness attraverso un engagement costante: con ciò intendo dire le aziende l'abbiano ormai quasi tutte compreso, mentre i singoli professionisti o sedicenti tali non riflettano ancora a sufficienza sul fatto che fare personal branding voglia dire, in buona sostanza, fare di se stessi un brand e proporlo alle migliori condizioni possibili perché venga riconosciuto ed amato. Naturalmente, non tutti possono essere imprenditori, ma tutti coloro che aspirino a diventarlo dovrebbero esprimere imprenditività e soft skills in misura piuttosto elevata: non è più sufficiente decidere cosa raccontare di sé esternamente, semmai, occorre lasciare gli altri liberi di esprimere qualsivoglia valutazione sul proprio conto e migliorarsi sulla base di un sereno accoglimento (solo) di quelle che giungano puntuali quanto obiettive.

Negli ultimi anni, si è poi sviluppato il fenomeno dell'influencer marketing, ossia, è considerevolmente aumentata la celebrità di taluni personaggi che dapprima vantassero un numerosissimo seguito sulle piattaforme sociali – particolarmente, Instagram e YouTube -, i quali hanno ulteriormente accresciuto la propria popolarità dopo che le aziende abbiano cominciato a farsene sponsorizzare i prodotti: una sorta di processo circolare, vantaggioso per tutti gli attori coinvolti, che dall'Italia ha reso famosi nel mondo personaggi come Chiara Ferragni e Mariano Di Vaio. Quanto alle aziende, esse hanno compreso che collaborando strategicamente con coloro che andassero imponendosi in rete quali perfetti potenziali testimonial dei propri brand, avrebbero potuto coinvolgere ampie fasce di pubblico molto più facilmente che con il tradizionale advertisement sui media ordinari; non solo: alcune ricerche hanno evidenziato un tasso di ritenzione piuttosto elevato, ossia, di fidelizzazione della clientela e ciò significa che, mentre le acquisizioni portano risultati a breve termine, il retention marketing consenta di aumentare esponenzialmente profitti e dunque stabilità economica delle aziende che con lungimiranza vi si dedichino. Come nel caso degli imprenditori, non tutti possono divenire influencer (sebbene moltissimi se ne convincano e parlino di sé in quanto tali!), ma indubbiamente quelli che autenticamente possiedano ottime capacità comunicative, empatia e magari un fisico invidiabile, oltre a rilevanti conoscenze riguardo ad uno specifico argomento o tipologia di prodotto, sono nella condizione di poter spodestare perfino i cosiddetti vip dal ruolo di testimonial dei brand più noti; i nuovi più efficaci comunicatori sono coloro che sappiano discettare di cucina in maniera originale o condividere con passione le proprie esperienze di viaggio!
Come spiegare il potere attrattivo esercitato dagli influencer sulla massa? Una spiegazione certamente valida, è che, diversamente dai protagonisti del mondo dello spettacolo, che è risaputo accettino di promuovere prodotti o servizi in cambio di sostanziosi cachets, essi non mirino, almeno all'inizio (almeno nella maggior parte dei casi ancora!), ad essere retribuiti in cambio delle loro recensioni: è ammissibile che ricerchino popolarità, ma resta il fatto riescano ad essere reputate persone simili a quelle che ne costituiscano il pubblico; non personaggi già noti che desiderino dare di sé un'immagine vincente e spensierata in ogni circostanza, bensì, uomini e donne che nonostante le difficoltà quotidiane desiderino rincorrere i propri sogni ed evidentemente, vi riescano! Uomini e donne che potremmo definire ispirazionali, dunque, in grado di ottenere che gli altri s'immedesimino nelle loro vite e desiderino non soltanto continuare a sognarle, ma impegnarsi per riuscire a mutare in meglio anche le proprie: in definitiva, sopravvengono l'imitazione dei comportamenti e la motivazione al cambiamento quale inelubibile leva per il miglioramento personale!

Mirare a coinvolgere i soli social supporter spontaneamente sarebbe certamente più etico, ma altrettanto sicuramente sfibrante (salvo rarissime eccezioni, non è affatto vero seguiti numerosissimi si costituiscano in maniera automatica purché un prodotto sia buono, anzi, ho sempre puntualizzato non n'esistano che si vendano da soli!): a conti fatti, conviene più pagare i contenuti che gli influencer condividano sui propri profili sociali (gli utenti sanno ciò avvenga ma sembrano non scandalizzarsene), che pagare degli esperti affinché ottengano un buon posizionamento dei contenuti sui motori di ricerca o ne creino talmente buoni da essere linkati spontaneamente!

In tutti i casi, risultano fondamentali i cosiddetti legami deboli, secondo la definizione datane dal sociologo del lavoro Mark Granovetter: non si tratta di quelli intrattenuti coi famigliari o chiunque altro si frequenti regolarmente, bensì, di quelli contraddistinti da occasionalità ed oggi possiamo dire perfino solo virtuali, che tuttavia possano tornare utili quando si ricerchi lavoro e, specie nell'epoca delle cosiddette aziende – piattaforma, ogniqualvolta si debbano costituire team di collaboratori che possano concorrere alla realizzazione di specifici progetti o si abbia perfino necessità di ridefinire la propria identità professionale. Diversamente dal caso dei legami forti, quelli deboli non consentono di ricavarne vicinanza emotiva e supporto morale (ma è poi sempre vero amici e parenti sostengano le proprie scelte, ideali o valori nei momenti di difficoltà?), semmai, utili al rinvenimento ed alla mobilizzazione di risorse cui si possa accedere per loro tramite, svolgendo un'efficace intermediazione: in definitiva, parliamo di quei potenziali collaboratori, professionisti che possano erogarci un servizio, persone tramite le quali acquisire conoscenze altrimenti inaccessibili e quant'altri possano essere raggiunti per intercessione di qualcuno presente già nella propria rete sociale; quando si perda il lavoro e se ne debba ricercare un altro oppure, quando si voglia realizzare un progetto piuttosto ardito od originale, solo i legami deboli consentono di ottenere concretamente aiuto, ma bisogna anche tener conto del fatto che altri possano rendersi disponibili a fornirlo sulla base del valore percepito della persona che lo richieda e ciò vada fatto necessariamente dipendere dalla qualità dei contenuti fino ad allora condivisi in rete (non è dunque opportuno, online come offline, circondarsi esclusivamente di coloro che costituiscano una presenza rassicurante e sempre condiscendente: meglio includere tra i propri contatti anche coloro che, superati pochi gradi di separazione, possano consentirci di giungere a conoscere la persona che, all'infuori dei soliti cluster, maggiormente possa esserci utile in un momento di crisi).

Di fatto, i legami deboli sono essenziali per coloro che desiderino svolgere l'attività di Network Marketer (altro che forza del passaparola tra familiari ed amici!), poiché costituire una rete di collaboratori ed acquisire e fidelizzare clienti significa riuscire a farsene apprezzare e capitalizzare un autentico desiderio di soddisfarne i bisogni più intimi e desideri, nella stessa misura in cui si desideri aumentare il proprio benessere personale e finanziario; amo rammentare che vendere, sebbene venga reputata un'attività sgradevole e perfino esecrabile, se svolta eticamente possa costituire un modo per migliorare il mondo! Essa richiede notevole adattabilità ai cambiamenti, dunque, intelligenza e creatività e la lungimiranza di non mirare ad ottenere soli benefici immediati dagli scambi intrattenuti con l'esterno.

Devo riconoscere che, sebbene praticamente tutti gli attuali Network Marketer siano presenti sulle piattaforme sociali (che, d'altro canto, facciano quasi invariabilmente corrispondere alla sola Facebook), ancora troppi non le utilizzino adeguatamente: se è indubbio abbiano compreso che dalla presenza in rete ci si possa potenzialmente attendere una visibilità altrimenti impossibile per coloro che non possano pagare la pubblicità sui media tradizionali, è altrettanto vero non sappiano generare contenuti utili ai loro potenziali follower e dialogarvi proficuamente. La proposizione di contenuti è quasi sempre limitata alle immagini dei prodotti corredate dalle descrizioni delle loro caratteristiche copincollate dal sito della Casa madre, cioè, a quanto di meno coinvolgente possa avvenire nei riguardi di coloro che, invece, andrebbero invogliati a servirsene, avvantaggiarsene e, soprattutto, riconoscere nel proprio "referente social" un tipo competente ed allo stesso tempo dinamico, originale e divertente cui potersi affidare per accrescere il proprio benessere; chiunque può proporre l'acquisto di un determinato bene o servizio, ma perché un potenziale cliente/fruitore dovrebbe scegliere di acquistarlo da un venditore in particolare?
I potenziali clienti/fruitori di un prodotto/servizio non necessitano certamente di offerte uguali per tutti e di essere ancora relegati nel ruolo di consumatori passivi, mentre i professionisti possono basare l'offerta di contenuti sulla raccolta ed un'attenta analisi delle opinioni, recensioni, valutazioni, financo critiche altrui relative non solo al prodotto/servizio in sé, ma quasi certamente all'esperienza di shopping realizzata: in tal modo, si realizza ciò che può essere definita collaborazione dei consumatori consapevoli (consumer aware collaboration). E' inoltre possibile evidenziare il fatto che un singolo distributore, rispetto ad un'azienda, sicuramente goda di maggiore libertà nella ricerca e sperimentazione dei mezzi attraverso cui diffondere i propri valori, raccogliere un'audience attorno ad essi ed avvantaggiarsi del feedback positivo che sia ricevibile da parte di coloro che, avendo l'impressione di conoscerlo ormai intimamente, si rendano disponibili ad utilizzarne/pagarne prodotti/servizi. Sostengo che un singolo distributore goda di maggiori libertà, poiché il solo obbligo ineludibile nei riguardi d'una Casa madre attiene al rispetto della policy aziendale e, generalmente, ciò significa non vadano millantate qualità che i prodotti non posseggano (ad esempio, di tipo curativo) e non si debbano promuovere contemporaneamente prodotti/servizi di aziende concorrenti: per il resto, ognuno può scegliere come parlarne o, per meglio dire, come spiegare al potenziale pubblico come ed in quale misura il loro utilizzo abbia migliorato la propria vita, affinché dall'immedesimazione dei potenziali clienti scaturisca il desiderio di avvantaggiarsene altrettanto!
Ricordiamolo ancora una volta: nell'ottica del personal branding, non mirare alle vendite immediate; non accontentarsi del fatturato possibile nel momento presente, quanto alla fidelizzazione della clientela quale esito di una piena soddisfazione dell'esperienza di acquisto determinata dall'attenzione alle esigenze e soprattutto ai desideri altrui!

Naturalmente, un efficace personal branding dipende dalla migliore conoscenza possibile di sé e dal senso della misura: l'obiettivo non deve essere dare ad intendere di essere il migliore in un dato campo, ma poterlo dimostrare allorché vengano richieste le consulenze! Mi rendo conto più di qualcuno possa avere, specie all'inizio, grandi difficoltà nel riconoscere il proprio valore e fargli corrispondere quello economico: in un'epoca che vorrebbero farci credere di gravissima ed irreparabile crisi economica, ci si starebbe piuttosto abituando a considerare il lavoro un privilegio e necessario ridimensionare sempre più le proprie richieste ai potenziali datori di lavoro; d'altro canto, l'influencer, il libero professionista, il Network Marketer, il freelance non ricercano lavoro subordinato e devono piuttosto sapersi presentare nella maniera accattivante che derivi dal giusto peso assegnato alle competente 'hard' e 'soft' molto più che in un qualsiasi curriculum vitae et studiorum tradizionale.
Non si tratta di elencare esperienze formative e lavorative pregresse ed attendersi che qualcuno le premi assegnando un nuovo e durevole incarico, ma di far comprendere quali vantaggi deriverebbero da una propria consulenza a quanti fossero disposti a pagarla bene!
Peraltro, secondo una speciale classifica reiteratamente stilata da LinkedIN – che pretenderebbe d'essere lo strumento migliore per cercare lavoro – nel corso del tempo gli iscritti sembrano divenire 'responsabili', 'esperti', 'collaborativi' ed a seconda del periodo di riferimento, qualcos'altro sicuramente utile in qualsiasi azienda, salvo non riuscire a raggiungere l'obiettivo prefissato di un cambiamento lavorativo, poiché gli addetti alla selezione del personale si stancano quasi immediatamente di leggere profili lavorativi che sembrino uno identico all'altro e francamente troppo belli per poter esser veri!
“ Se ci si presenta nello stesso modo di milioni di altre persone, il nostro profilo non emergerà rispetto a chiunque altro ambisca ad una specifica opportunità o posizione lavorativa. Sarebbe quindi più opportuno, sul proprio profilo, evitare l’uso di parole particolarmente gettonate. Una descrizione accurata ed un link ad un progetto al quale si è lavorato potrebbero, ad esempio, rendere il proprio profilo differente, unico e irresistibile ”, dichiarò qualche anno fa Marcello Albergoni, Country Manager di LinkedIn Italia e Spagna.
Del resto, chi mai si definirebbe, ad esempio, irresponsabile? Relativamente a qualsiasi parola che servisse a definirci e volessimo utilizzare, sarebbe opportuno prenderne in considerazione quella contraria: in questo modo, è possibile rendersi conto quali requisiti qualsiasi potenziale datore di lavoro debba dare per scontato nei suoi potenziali nuovi collaboratori e piuttosto che limitarsi ad una sterile elencazione di competenze, questi ultimi potrebbero indicare in quali specifiche circostanze abbiano potuto esprimere determinate qualità e rendersi indispensabili ad altri, fornendo dati oggettivi per la misurazione dei risultati (cosa rarissima nell'ambito del cosiddetto social media management!).
Ancor più quando non si ricerchi un lavoro da dipendente, bisogna chiarire a se stessi in quale ambito si voglia lavorare e verificare se si posseggano le competenze (comprese quelle trasversali!) per poterlo fare al meglio: esistono potenziali clienti interessati a ciò che s'abbia da offrire? E quali sono i punti di forza dei concorrenti? Quali quelli deboli? Si deve migliorare rispetto ai primi ed approfittare dei secondi, se veramente si è migliori in qualcosa rispetto a coloro che ci abbiano preceduto nell'individuare in una certa nicchia di mercato il target di riferimento (meglio ancora, crearsene una ancor più esclusiva, che contemporaneamente assicuri buoni margini di guadagno nel presente e verosimilmente nel futuro); infine, passare all'azione con fiducia nella propria imprenditività!

In definitiva, il personal branding presuppone... presupporrebbe la conversione dei follower in clienti e l'acquisizione di clienti non più tramite strategie di marketing di stampo tradizionale, bensì, per effetto delle interazioni con essi improntate a trasparenza, autenticità, offerta di contenuti pertinenti agli obiettivi perseguiti dagli attori coinvolti negli scambi informazionali e costantemente aggiornati: si tratta di creare e moltiplicare con pazienza rapporti fiduciari in cui le parti coinvolte si riconoscano altrettanto valore ed altrettanto efficacemente contribuiscano al reciproco benessere!

Ci si può conoscere online, per poi incontrarsi offline se e quando se ne dia l'occasione: l'importante è rammentare le relazioni vadano coltivate nel tempo, non bastino assolutamente i commenti ai post sui social network o sui blog per lasciare un ricordo indelebile di sé da cui possano scaturire collaborazioni proprio quando maggiormente necessiti un ingaggio (presenziare agli incontri di settore ogniqualvolta sia possibile); nell'uno come nell'altro caso, il successo arride a coloro che si rivelino in grado di raccontare la propria storia professionale in maniera coinvolgente e facendo leva sulle emozioni superiori, cioè, quelle che chiaramente lascino intendere l'interlocutore sia psicologicamente equilibrato, assertivo, proattivo, in grado di promuovere il benessere altrui mentre accresca il proprio, evidentemente molto diverse da quelle che nella quasi totalità dei casi portino a non fidarsi degli altri!

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