
Fare
di se stessi un brand è un'esortazione divenuta abituale nell'ambito
lavorativo e conseguentemente, anche in quello del Network Marketing:
più che di un obiettivo facilmente raggiungibile e di un esito
immodificabile, si tratta di un processo sovente lungo e
difficoltoso, ma sempre appassionante, teso al miglioramento di sé,
affinché si possa acquisire competitività all'interno di un mercato
lavorativo anch'esso in continua evoluzione e, specie per quel che
riguardi talune figure professionali, potenzialmente globale; non si
riduce, come qualcuno semplicisticamente possa pensare, ad una buona
promozione della propria immagine sui social network da cui
scaturiscano engagement degli iscritti e conversioni, cioè, vendite
dei propri prodotti o servizi. Il personal branding non riguarda le
conoscenze acquisibili con lo studio e non migliora quale ineludibile
conseguenza delle esperienze lavorative che si compiano nel corso del
tempo, semmai, attiene a quei tratti di personalità e, soprattutto,
a certe soft skills che rendano ogni individuo unico e talvolta più
adatto ad essere favorevolmente accolto dai colleghi di lavoro e dai
potenziali clienti; sostanzialmente, più competitivo!
Tali
considerazioni si adattano particolarmente alla professione di
Network Marketer, poiché ciascuno è l'unico responsabile dei
risultati che possa ottenere in termini di vendite e
conseguentemente, ottenimento delle qualifiche previste dal piano di
marketing dell'azienda prescelta (agli upliner competono obblighi di
natura esclusivamente morale nei riguardi di coloro che
sponsorizzino: possono formarli all'attività di vendita secondo
personali capacità e, naturalmente, avrebbero l'interesse economico
a farlo, ma nella realtà si viene quasi invariabilmente e subito
abbandonati a se stessi!).
Un Network Marketer in grado di esprimere
svariate soft skills, oltretutto molto efficacemente, riconosce nella
capacità di dominare le proprie emozioni e contemporaneamente fare
leva su quelle altrui al fine delle vendite una ragione del proprio
successo; assegna notevole importanza alla capacità di riconoscere i
bisogni ed i sentimenti altrui, poiché da ciò deriva la possibilità
di conciliare il loro soddisfacimento con quello dei propri quale
conseguenza di aumentate vendite; naturalmente, il raggiungimento
degli obiettivi professionali che si prefigga è conseguenza anche
del mantenimento di un'elevata motivazione ad eccellere e della
capacità di mobilitare risorse interne ed esterne atte allo scopo:
ricordo sempre io ami definire il Network Marketer un costruttore ed
armonizzatore di reti sociali e ciò significhi che possa progredire
nell'attività nella misura in cui riesca ad avvantaggiarsi delle
competenze altrui, nello stesso tempo in cui ponga le proprie a
beneficio degli altri.
Tali competenze trasversali non sono
misurabili con la stessa accuratezza di quelle tradizionalmente
ricercate – non esistono, ad esempio, delle certificazioni che
indichino quanto un potenziale collaboratore possa rivelarsi
empatico, mentre sono ben determinabili il grado di conoscenza di un
software o qualsiasi altra competenza tecnica specificamente
richiesta in precisi contesti lavorativi -, ma sono indispensabili al
benessere individuale e collettivo (mirare a svilupparle nei propri
collaboratori, specie coloro cui pertengano compiti manageriali, è
ormai importantissimo per qualsiasi impresa voglia prosperare negli
affari).
Singoli professionisti ed aziende, dunque, sono
chiamati a costituire un network di relazioni ed in parte ciò può
oggi avvenire grazie ai social network: tutto quanto venga condiviso
sulle piattaforme sociali inevitabilmente influisce sulla propria
reputazione ed è in aumento il numero di selezionatori che
analizzino i profili sociali per farsi un'idea sul conto di coloro
che si candidino per una posizione lavorativa; siccome i Network
Marketer sono anch'essi dei recruiter, anch'io invariabilmente visito
i profili sociali di coloro che mi contattino; peraltro, molto
raramente accade che quanti mi contattino lo facciano per chiedermi
di essere sponsorizzati all'interno della Compagnia del ganoderma, semmai, caldeggiano le più eterogenee "opportunità
di business" che sembrino aver mutato le loro sorti economiche e
potrebbero presto fare altrettanto con me: a parte il fatto mi trovi
benissimo dove sono, non succede mai che la visita ai loro profili
sociali minimamente m'induca a prenderli seriamente in
considerazione! Si passa dai profili odiosamente autoreferenziali, a
quelli che citino le stesse frasi pseudo motivazionali che legga da
decenni a, soprattutto, quelli corredati da una miriade di foto che
smentiscano clamorosamente una vita improntata al godimento dei lussi
più sfrenati: questi ultimi sono quelli che mi suscitano maggiore
tenerezza, ma è un peccato constatare troppe persone non si
accorgano di rendersi ridicole!
Sarebbe invece opportuno che gli
utilizzatori dei social network mirassero alla propria credibilità
e, non meno importante, che, anziché rivolgersi indistintamente agli
altri utilizzatori delle piattaforme sociali, individuassero la
nicchia di mercato più adatta non tanto alla vendita dei loro
prodotti o servizi, quanto a far aumentare la cosiddetta brand
awareness attraverso un engagement costante: con ciò intendo dire le
aziende l'abbiano ormai quasi tutte compreso, mentre i singoli
professionisti o sedicenti tali non riflettano ancora a sufficienza
sul fatto che fare personal branding voglia dire, in buona sostanza,
fare di se stessi un brand e proporlo alle migliori condizioni
possibili perché venga riconosciuto ed amato. Naturalmente, non
tutti possono essere imprenditori, ma tutti coloro che aspirino a
diventarlo dovrebbero esprimere imprenditività e soft skills in
misura piuttosto elevata: non è più sufficiente decidere cosa
raccontare di sé esternamente, semmai, occorre lasciare gli altri
liberi di esprimere qualsivoglia valutazione sul proprio conto e
migliorarsi sulla base di un sereno accoglimento (solo) di quelle che
giungano puntuali quanto obiettive.
Negli ultimi anni, si è
poi sviluppato il fenomeno dell'influencer marketing, ossia, è
considerevolmente aumentata la celebrità di taluni personaggi che
dapprima vantassero un numerosissimo seguito sulle piattaforme
sociali – particolarmente, Instagram e YouTube -, i quali hanno
ulteriormente accresciuto la propria popolarità dopo che le aziende
abbiano cominciato a farsene sponsorizzare i prodotti: una sorta di
processo circolare, vantaggioso per tutti gli attori coinvolti, che
dall'Italia ha reso famosi nel mondo personaggi come Chiara Ferragni
e Mariano Di Vaio. Quanto alle aziende, esse hanno compreso che
collaborando strategicamente con coloro che andassero imponendosi in
rete quali perfetti potenziali testimonial dei propri brand,
avrebbero potuto coinvolgere ampie fasce di pubblico molto più
facilmente che con il tradizionale advertisement sui media ordinari;
non solo: alcune ricerche hanno evidenziato un tasso di ritenzione
piuttosto elevato, ossia, di fidelizzazione della clientela e ciò
significa che, mentre le acquisizioni portano risultati a breve
termine, il retention marketing consenta di aumentare
esponenzialmente profitti e dunque stabilità economica delle aziende
che con lungimiranza vi si dedichino. Come nel caso degli
imprenditori, non tutti possono divenire influencer (sebbene
moltissimi se ne convincano e parlino di sé in quanto tali!), ma
indubbiamente quelli che autenticamente possiedano ottime capacità
comunicative, empatia e magari un fisico invidiabile, oltre a
rilevanti conoscenze riguardo ad uno specifico argomento o tipologia
di prodotto, sono nella condizione di poter spodestare perfino i
cosiddetti vip dal ruolo di testimonial dei brand più noti; i nuovi
più efficaci comunicatori sono coloro che sappiano discettare di
cucina in maniera originale o condividere con passione le proprie
esperienze di viaggio!
Come spiegare il potere attrattivo
esercitato dagli influencer sulla massa? Una spiegazione certamente
valida, è che, diversamente dai protagonisti del mondo dello
spettacolo, che è risaputo accettino di promuovere prodotti o
servizi in cambio di sostanziosi cachets, essi non mirino, almeno
all'inizio (almeno nella maggior parte dei casi ancora!), ad essere
retribuiti in cambio delle loro recensioni: è ammissibile che
ricerchino popolarità, ma resta il fatto riescano ad essere reputate
persone simili a quelle che ne costituiscano il pubblico; non
personaggi già noti che desiderino dare di sé un'immagine vincente
e spensierata in ogni circostanza, bensì, uomini e donne che
nonostante le difficoltà quotidiane desiderino rincorrere i propri
sogni ed evidentemente, vi riescano! Uomini e donne che potremmo
definire ispirazionali, dunque, in grado di ottenere che gli altri
s'immedesimino nelle loro vite e desiderino non soltanto continuare a
sognarle, ma impegnarsi per riuscire a mutare in meglio anche le
proprie: in definitiva, sopravvengono l'imitazione dei comportamenti
e la motivazione al cambiamento quale inelubibile leva per il
miglioramento personale!
Mirare
a coinvolgere i soli social supporter spontaneamente sarebbe
certamente più etico, ma altrettanto sicuramente sfibrante (salvo
rarissime eccezioni, non è affatto vero seguiti numerosissimi si
costituiscano in maniera automatica purché un prodotto sia buono,
anzi, ho sempre puntualizzato non n'esistano che si vendano da
soli!): a conti fatti, conviene più pagare i contenuti che gli
influencer condividano sui propri profili sociali (gli utenti sanno
ciò avvenga ma sembrano non scandalizzarsene), che pagare degli
esperti affinché ottengano un buon posizionamento dei contenuti sui
motori di ricerca o ne creino talmente buoni da essere linkati
spontaneamente!
In tutti i casi, risultano fondamentali i
cosiddetti legami deboli, secondo la definizione datane dal sociologo
del lavoro Mark Granovetter: non si tratta di quelli intrattenuti coi
famigliari o chiunque altro si frequenti regolarmente, bensì, di
quelli contraddistinti da occasionalità ed oggi possiamo dire
perfino solo virtuali, che tuttavia possano tornare utili quando si
ricerchi lavoro e, specie nell'epoca delle cosiddette aziende –
piattaforma, ogniqualvolta si debbano costituire team di
collaboratori che possano concorrere alla realizzazione di specifici
progetti o si abbia perfino necessità di ridefinire la propria
identità professionale. Diversamente dal caso dei legami forti,
quelli deboli non consentono di ricavarne vicinanza emotiva e
supporto morale (ma è poi sempre vero amici e parenti sostengano le
proprie scelte, ideali o valori nei momenti di difficoltà?), semmai,
utili al rinvenimento ed alla mobilizzazione di risorse cui si possa
accedere per loro tramite, svolgendo un'efficace intermediazione: in
definitiva, parliamo di quei potenziali collaboratori, professionisti
che possano erogarci un servizio, persone tramite le quali acquisire
conoscenze altrimenti inaccessibili e quant'altri possano essere
raggiunti per intercessione di qualcuno presente già nella propria
rete sociale; quando si perda il lavoro e se ne debba ricercare un
altro oppure, quando si voglia realizzare un progetto piuttosto
ardito od originale, solo i legami deboli consentono di ottenere
concretamente aiuto, ma bisogna anche tener conto del fatto che altri
possano rendersi disponibili a fornirlo sulla base del valore
percepito della persona che lo richieda e ciò vada fatto
necessariamente dipendere dalla qualità dei contenuti fino ad allora
condivisi in rete (non è dunque opportuno, online come offline,
circondarsi esclusivamente di coloro che costituiscano una presenza
rassicurante e sempre condiscendente: meglio includere tra i propri
contatti anche coloro che, superati pochi gradi di separazione,
possano consentirci di giungere a conoscere la persona che,
all'infuori dei soliti cluster, maggiormente possa esserci utile in
un momento di crisi).
Di fatto, i legami deboli sono
essenziali per coloro che desiderino svolgere l'attività di Network
Marketer (altro che forza del passaparola tra familiari ed amici!),
poiché costituire una rete di collaboratori ed acquisire e
fidelizzare clienti significa riuscire a farsene apprezzare e
capitalizzare un autentico desiderio di soddisfarne i bisogni più
intimi e desideri, nella stessa misura in cui si desideri aumentare
il proprio benessere personale e finanziario; amo rammentare che
vendere, sebbene venga reputata un'attività sgradevole e perfino
esecrabile, se svolta eticamente possa costituire un modo per
migliorare il mondo! Essa richiede notevole adattabilità ai
cambiamenti, dunque, intelligenza e creatività e la lungimiranza di
non mirare ad ottenere soli benefici immediati dagli scambi
intrattenuti con l'esterno.
Devo riconoscere che, sebbene
praticamente tutti gli attuali Network Marketer siano presenti sulle
piattaforme sociali (che, d'altro canto, facciano quasi invariabilmente corrispondere alla
sola Facebook), ancora troppi non le utilizzino adeguatamente: se è
indubbio abbiano compreso che dalla presenza in rete ci si possa
potenzialmente attendere una visibilità altrimenti impossibile per
coloro che non possano pagare la pubblicità sui media tradizionali,
è altrettanto vero non sappiano generare contenuti utili ai loro
potenziali follower e dialogarvi proficuamente. La proposizione di
contenuti è quasi sempre limitata alle immagini dei prodotti
corredate dalle descrizioni delle loro caratteristiche copincollate
dal sito della Casa madre, cioè, a quanto di meno coinvolgente possa
avvenire nei riguardi di coloro che, invece, andrebbero invogliati a
servirsene, avvantaggiarsene e, soprattutto, riconoscere nel proprio
"referente social" un tipo competente ed allo stesso tempo
dinamico, originale e divertente cui potersi affidare per accrescere
il proprio benessere; chiunque può proporre l'acquisto di un
determinato bene o servizio, ma perché un potenziale
cliente/fruitore dovrebbe scegliere di acquistarlo da un venditore in
particolare?
I potenziali clienti/fruitori di un prodotto/servizio
non necessitano certamente di offerte uguali per tutti e di essere
ancora relegati nel ruolo di consumatori passivi, mentre i
professionisti possono basare l'offerta di contenuti sulla raccolta
ed un'attenta analisi delle opinioni, recensioni, valutazioni,
financo critiche altrui relative non solo al prodotto/servizio in sé,
ma quasi certamente all'esperienza di shopping realizzata: in tal
modo, si realizza ciò che può essere definita collaborazione dei
consumatori consapevoli (consumer aware collaboration). E' inoltre
possibile evidenziare il fatto che un singolo distributore, rispetto
ad un'azienda, sicuramente goda di maggiore libertà nella ricerca e
sperimentazione dei mezzi attraverso cui diffondere i propri valori,
raccogliere un'audience attorno ad essi ed avvantaggiarsi del
feedback positivo che sia ricevibile da parte di coloro che, avendo
l'impressione di conoscerlo ormai intimamente, si rendano disponibili
ad utilizzarne/pagarne prodotti/servizi. Sostengo che un singolo
distributore goda di maggiori libertà, poiché il solo obbligo
ineludibile nei riguardi d'una Casa madre attiene al rispetto della
policy aziendale e, generalmente, ciò significa non vadano
millantate qualità che i prodotti non posseggano (ad esempio, di
tipo curativo) e non si debbano promuovere contemporaneamente
prodotti/servizi di aziende concorrenti: per il resto, ognuno può
scegliere come parlarne o, per meglio dire, come spiegare al
potenziale pubblico come ed in quale misura il loro utilizzo abbia
migliorato la propria vita, affinché dall'immedesimazione dei
potenziali clienti scaturisca il desiderio di avvantaggiarsene
altrettanto!
Ricordiamolo ancora una volta: nell'ottica del personal
branding, non mirare alle vendite immediate; non accontentarsi del
fatturato possibile nel momento presente, quanto alla fidelizzazione
della clientela quale esito di una piena soddisfazione
dell'esperienza di acquisto determinata dall'attenzione alle esigenze
e soprattutto ai desideri altrui!
Naturalmente, un efficace
personal branding dipende dalla migliore conoscenza possibile di sé
e dal senso della misura: l'obiettivo non deve essere dare ad
intendere di essere il migliore in un dato campo, ma poterlo
dimostrare allorché vengano richieste le consulenze! Mi rendo conto
più di qualcuno possa avere, specie all'inizio, grandi difficoltà
nel riconoscere il proprio valore e fargli corrispondere quello
economico: in un'epoca che vorrebbero farci credere di gravissima ed
irreparabile crisi economica, ci si starebbe piuttosto abituando a
considerare il lavoro un privilegio e necessario ridimensionare
sempre più le proprie richieste ai potenziali datori di lavoro;
d'altro canto, l'influencer, il libero professionista, il Network
Marketer, il freelance non ricercano lavoro subordinato e devono
piuttosto sapersi presentare nella maniera accattivante che derivi
dal giusto peso assegnato alle competente 'hard' e 'soft' molto più
che in un qualsiasi curriculum vitae et studiorum tradizionale. Non
si tratta di elencare esperienze formative e lavorative pregresse ed
attendersi che qualcuno le premi assegnando un nuovo e durevole
incarico, ma di far comprendere quali vantaggi deriverebbero da una
propria consulenza a quanti fossero disposti a pagarla
bene!
Peraltro,
secondo una speciale classifica reiteratamente stilata da LinkedIN –
che pretenderebbe d'essere lo strumento migliore per cercare lavoro –
nel corso del tempo gli iscritti sembrano divenire 'responsabili',
'esperti', 'collaborativi' ed a seconda del periodo di riferimento,
qualcos'altro sicuramente utile in qualsiasi azienda, salvo non
riuscire a raggiungere l'obiettivo prefissato di un cambiamento
lavorativo, poiché gli addetti alla selezione del personale si
stancano quasi immediatamente di leggere profili lavorativi che
sembrino uno identico all'altro e francamente troppo belli per poter
esser veri! “
Se ci si presenta nello stesso modo di milioni di altre persone, il
nostro profilo non emergerà rispetto a chiunque altro ambisca ad una
specifica opportunità o posizione lavorativa. Sarebbe quindi più
opportuno, sul proprio profilo, evitare l’uso di parole
particolarmente gettonate. Una descrizione accurata ed un link ad un
progetto al quale si è lavorato potrebbero, ad esempio, rendere il
proprio profilo differente, unico e irresistibile ”,
dichiarò qualche anno fa Marcello
Albergoni,
Country Manager di LinkedIn Italia e Spagna.
Del resto, chi mai si
definirebbe, ad esempio, irresponsabile? Relativamente a qualsiasi
parola che servisse a definirci e volessimo utilizzare, sarebbe
opportuno prenderne in considerazione quella contraria: in questo
modo, è possibile rendersi conto quali requisiti qualsiasi
potenziale datore di lavoro debba dare per scontato nei suoi
potenziali nuovi collaboratori e piuttosto che limitarsi ad una
sterile elencazione di competenze, questi ultimi potrebbero indicare
in quali specifiche circostanze abbiano potuto esprimere determinate
qualità e rendersi indispensabili ad altri, fornendo dati oggettivi
per la misurazione dei risultati (cosa rarissima nell'ambito del
cosiddetto social media management!). Ancor
più quando non si ricerchi un lavoro da dipendente, bisogna chiarire
a se stessi in quale ambito si voglia lavorare e verificare se si
posseggano le competenze (comprese quelle trasversali!) per poterlo
fare al meglio: esistono potenziali clienti interessati a ciò che
s'abbia da offrire? E quali sono i punti di forza dei concorrenti?
Quali quelli deboli? Si deve migliorare rispetto ai primi ed
approfittare dei secondi, se veramente si è migliori in qualcosa
rispetto a coloro che ci abbiano preceduto nell'individuare in una
certa nicchia di mercato il target di riferimento (meglio ancora,
crearsene una ancor più esclusiva, che contemporaneamente assicuri
buoni margini di guadagno nel presente e verosimilmente nel futuro);
infine, passare all'azione con fiducia nella propria imprenditività!
In
definitiva, il personal branding presuppone... presupporrebbe la
conversione dei follower in clienti e l'acquisizione di clienti non
più tramite strategie di marketing di stampo tradizionale, bensì,
per effetto delle interazioni con essi improntate a trasparenza,
autenticità, offerta di contenuti pertinenti agli obiettivi
perseguiti dagli attori coinvolti negli scambi informazionali e
costantemente aggiornati: si tratta di creare e moltiplicare con
pazienza rapporti fiduciari in cui le parti coinvolte si riconoscano
altrettanto valore ed altrettanto efficacemente contribuiscano al
reciproco benessere!
Ci si può conoscere online, per poi incontrarsi
offline se e quando se ne dia l'occasione: l'importante è rammentare
le relazioni vadano coltivate nel tempo, non bastino assolutamente i
commenti ai post sui social network o sui blog per lasciare un
ricordo indelebile di sé da cui possano scaturire collaborazioni
proprio quando maggiormente necessiti un ingaggio (presenziare agli
incontri di settore ogniqualvolta sia possibile); nell'uno come
nell'altro caso, il successo arride a coloro che si rivelino in grado
di raccontare la propria storia professionale in maniera coinvolgente
e facendo leva sulle emozioni superiori, cioè, quelle che
chiaramente lascino intendere l'interlocutore sia psicologicamente
equilibrato, assertivo, proattivo, in grado di promuovere il
benessere altrui mentre accresca il proprio, evidentemente molto
diverse da quelle che nella quasi totalità dei casi portino a non
fidarsi degli altri!
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