10 febbraio 2018

Università, precariato, Network Marketing

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Nell'estate del 2017, è ricorso il decimo anniversario dal conseguimento di un obiettivo cui ho molto tenuto e contemporaneamente non abbia mai consentito che condizionasse il mio rapporto con gli altri o le mie scelte lavorative, nel senso non mi sia mai granché interessato ricercare lavori che necessariamente richiedessero la laurea: ho vissuto questi anni molto diversamente da come mi aspettassi di fare, ma sono soprattutto lieto di non essermi incistato in alcuna identità professionale che, invece, altri considerino immodificabile non appena abbiano incorniciato il pezzo di carta cui permettano di definirli immutabilmente!
Il pensiero di quella giornata, i ricordi ancora vividi ed il persistere di un marcatissimo interesse per la disciplina in cui mi sia laureato, senza contemporaneamente tenere ad esercitare la professione per la quale mi sia poi addirittura abilitato, mi motivano a scrivere un post sull'utilità, o meno, che possa ancora avere conseguire una laurea e se e come possa tornare utile nello svolgimento della professione di Network Marketer, cioè quella che attualmente svolga con maggiore soddisfazione almeno tenendo conto delle opportunità migliorative che mi offra sul piano personale, se non squisitamente economico.

Penso, anzitutto, che i mutamenti verificatisi nel sistema scolastico ed universitario italiano nel corso degli ultimi vent'anni l'abbiano decisamente peggiorato e che ciò si ripercuoterà sempre più negativamente sull'economia del Paese, cui mancherà la guida di statisti, economisti, industriali ed imprenditori anche solo lontanamente paragonabili a quelli del passato (secondo alcuni autori, il solo collegamento col passato sarà costituito dal fatto che l'Italia tornerà ad essere nulla più che un'espressione geografica): le riforme succedutesi hanno reso mediocre l'offerta formativa e contemporaneamente si è rafforzata nel sentire comune l'idea che il diploma e la laurea debbano essere di tutti (con l'ulteriore conseguenza negativa che gli italiani pretendano poi "il lavoro per cui abbiano studiato" ossia, ancora in troppi esigano un pubblico impiego a tempo indeterminato in un mondo che sempre meno ne riconosce l'opportunità e la sostenibilità economica)!
La fortuna di demagoghi e populisti è determinata dalla continua indicazione alle masse delle categorie sociali su cui riversare l'odio per via dei privilegi di cui godrebbero, come se fosse immorale che ad occupazioni complesse ed enormi carichi di responsabilità corrispondessero paghe più elevate ed un disconoscimento di meriti individuali non fosse odioso quanto vietare, sempre in linea di principio, l'accesso a determinati percorsi formativi e conseguenti carriere a chiunque presumesse di averne diritto! La scuola e soprattutto l'università non selezionano e formano più coloro che possano assurgere alla guida del Paese, bensì elargiscono indiscriminatamente diplomi e lauree a chiunque necessiti di possederne per gratificare il proprio evidentemente fragile ego e ciò ha comportato un progressivo deprezzamento dei titoli rilasciati (mentre sembra che non possano, ad esempio, più esistere programmi televisivi in cui non si gareggi e si miri ad esasperarare la competitività dei concorrenti, tanto per evidenziare che nel mondo reale viga la legge del più forte e debba star bene che non assurgano alla popolarità tutti coloro che presumano di avere doti artistiche o semplicemente una grande bellezza!).
Ricordo che all'epoca della mia iscrizione alla scuola superiore (quasi trent'anni fa), soltanto in tre scegliemmo di frequentare un liceo (e mio padre m'abbia costretto a frequentare per due anni un per me odiosissimo istituto tecnico perché conseguissi il "diploma finito", prima di arrendersi alla mia irremovibilità circa gli studi che desiderassi davvero intraprendere): tutti gli altri compagni – e ciò valse anche per le altre classi in cui conoscessi qualcuno – scelsero di frequentare l'istituto tecnico commerciale o quello industriale ad indirizzo informatico, assumendo che non appena si fossero diplomati sarebbero stati contesi dalle migliori aziende a caccia di impiegati amministrativi o programmatori; progressivamente, si è verificata un'inversione di tendenza ed ormai quasi tutti s'iscrivono, o vengono forzati ad iscriversi, ad un liceo (sono anche ipocritamente cambiate le denominazioni delle varie scuole, per cui sembra che oggi sia sostanzialmente inevitabile ritrovarsi a frequentare un liceo: l'istituto che un tempo diplomasse periti industriali è divenuto un più ampolloso liceo scientifico – tacnologico, quello che diplomasse le maestre elementari è divenuto un pretenzioso liceo delle scienze umane o socio – psico – pedagogico a seconda dei casi e così via). Per quanto avere un figlio che frequenti un liceo continui a costituire motivo di vanto per le famiglie italiane, non ritengo assimilabile la preparazione che si ricevesse un tempo a quella odierna, mentre quando venissimo programmati a pensare che gli sforzi per mantenere una media elevata e diplomarsi magari col massimo dei voti (cosa che io ho fatto) dovessero venire ampiamente ripagati da un mercato del lavoro oggettivamente più facilmente affrontabile rispetto ad oggi, le aspettattive degli attuali over quaranta venissero ugualmente per lo più deluse e si finisse col fare un lavoro per il quale non fosse valsa la pena passare cinque anni a studiare materie prive di qualsivoglia applicabilità pratica nella vita quotidiana!
Per quel che invece riguardi l'università, la mia generazione ha affollato le aule di Giurisprudenza e Scienze politiche, senza che potesse servire laureare ulteriori legioni di giuristi rispetto al passato o fosse ammissibile pensare che tutti avrebbero potuto dedicarsi alla carriera diplomatica e reputo che troppi giovani lo facciano ancora incoscientemente, mentre posso almeno ammettere che quanti scegliessero di frequentare facoltà in cui prepararsi ad auspicabilmente ricoprire ruoli sanitari non venissero costretti ad un continuo accumulo di crediti pre/post lauream per terminare il corso di studi o rimanere iscritti agli albi e che le pretestuose richieste di aggiornamento continuo del proprio bagaglio culturale non dovessero per lo più servire a far lavorare almeno i formatori in assenza di lavoro per i formati e ad arricchire i sempre più numerosi provider per la formazione offline ed online!
Non sono, dunque, la scuola o la facoltà che si frequentino a determinare il successo nella vita, bensì le qualità individuali e le caratteristiche ambientali e, beninteso, nei casi in cui non solo si posseggano dei talenti, ma ci si ostini ad esercitarli e ci si procuri le occasioni per tramutarli in una professione gratificante sul piano personale ed economico (il Network Marketing può essere un'ottima leva per il benessere personale e finanziario!). Io stesso non ho più esercitato il lavoro per cui abbia studiato trascorso l'anno di tirocinio post lauream (non retribuito, come non sono stati retribuiti tutti gli altri tirocini che abbia svolto nel tempo) che mi consentisse di accedere agli Esami di Stato eppure, metto in pratica i contenuti appresi durante gli anni della formazione universitaria più spesso, e con decisamente maggior successo, rispetto alla miriade di colleghi che si ostinino a "tenere aperti degli studi vuoti" e passino da un master all'altro solo per ritrovarsi senza più spazio sui muri dove poter appendere i loro dispendiosissimi pezzi di carta: quando mi sia reso conto che ciò che mi venisse richiesto fosse di rimanere vincolato per tutta la mia vita professionale a degli obblighi formativi che non potessero soddisfare i miei reali interessi culturali e di rinnovare la mia sudditanza all'albo professionale pagandone annualmente la quota associativa senza riceverne concreti servizi e vantaggi (per non parlare della assolutamente miserevole pensione che riscuoterei in cambio di contributi tanto onerosi, quanto naturalmente ineludibili!), ho scelto di essere libero e porre le conoscenze psicologiche al mio ed altrui servizio in maniera diversa da ciò che il mio indirizzo di specializzazione prevedesse (sarei disponibile ad iscrivermi all'albo solo quando riuscissi a creare una mia impresa che prevedesse un servizio di consulenza psicologica, ma potessi da subito rendere profittevole offrendone anche altri!).
Personalmente, ho sempre considerato la laurea un obiettivo per me ineludibile e ne ho tratto immenso piacere quando l'abbia raggiunto dopo i tanti anni di fuori corso cui la necessità di studiare e lavorare contemporaneamente m'abbia costretto: essendo stato in grado di lavorare nell'ambito dei servizi socio – sanitari prima ancora che mi laureassi, sfruttando l'opportunità di frequentare corsi di formazione promossi dalla Regione ed i relativi contratti di collaborazione a progetto che ne derivassero, non mi sono ritrovato poi laureato ma con l'impressione di non saper concretamente fare nulla, anzi, avevo già non solo reiteratamente sperimentato il lavoro all'interno di équipes multidisciplinari, ma anche acquisito una conoscenza diretta e non soltanto teorica della gran parte dei ruoli con cui vi si possa figurare (educatore familiare, assistente domiciliare agli anziani...)! Ma è soprattutto da quando ho abbandonato tempi e modalità di formazione preordinate che è iniziato il mio più autentico percorso di crescita personale e professionale: non voglio esprimere una valutazione del tutto negativa riguardo alla mia esperienza universitaria ed anzi riconosco l'università m'abbia fornito una solidissima ed interessante preparazione teorica basica, tuttavia, riconosco anche che rispetto agli ex colleghi di corso che ancora si limitino a trattare degli oggetti di studio abusati e ad ispirarsi ad esperienze lavorative già ampiamente rivelatesi fallimentari, io sia riuscito a rendere più interessante il mio presente e possa guardare al futuro senza spaventarmene; in definitiva, nel corso di ormai numerosi anni, ho realizzato altrettanto numerose esperienze lavorative, quasi sempre all'interno di équipes multidisciplinari: ciò comportava che ponessi mie conoscenze e competenze al servizio degli utenti che necessitassero d'una consulenza e che finalizzassi i miei sforzi al perseguimento di obiettivi preliminarmente stabiliti e condivisi coi colleghi.
Lavorare nel settore dei servizi di assistenza alla persona ha rappresentato un privilegio dal punto di vista morale, ma è stato poco economicamente gratificante e siccome il benessere personale non può prescindere da quello finanziario, fin dai primi anni duemila ho cominciato a ricercare delle alternative professionali che mi consentissero di conciliare il mio interesse per il contatto col pubblico col notevole peso che immaginavo i nuovi mezzi di comunicazione di massa dovessero acquisire nella vita di milioni di persone; la nascita delle piattaforme sociali ha accelerato e semplificato ulteriormente la possibilità di allacciare nuovi rapporti e gettato le basi per quello che la mia Azienda già oggi definisce One World, One Market!

Stante ciò di cui ho scritto finora, si potrebbe sinteticamente concludere che la scuola risponda alle "esigenze di altri" (esigenza di perpetuare lo stile di vita consumistico adottato nelle società occidentali) e che si potrebbe però vivere meglio senza una educazione scolastica formale: di fatto, nel corso del tempo si è invece teso ad aumentare gli anni di formazione obbligatoria per addestrare i discenti ad inserirsi nel mercato del lavoro una volta divenuti riserse umane impiegabili e ciò per effetto di una pianificazione dei percorsi formativi sempre più accurata.
Storicamente, alla coartazione di un numero sempre più elevato di studenti nelle aule scolastiche è corrisposto un numero altrettanto elevato di insuccessi scolastici in grado di procurare senso di colpa a coloro che non riuscissero a soddisfare le aspettative di successo genitoriali e della società ed un irremovibile marchio di inferiorità intellettiva e morale rispetto ai compagni e chiunque altro si dovesse incontrare nella vita. Nati e consolidati - e progressivamente quanto più possibile uniformati - per creare uguaglianza (almeno secondo gli intenti sempre dichiarati), i sistemi scolastici hanno invece sempre rafforzato le disparità sociali che esistessero nei vari Paesi (quindi, la piramidabilità della società stessa cui apparteniamo, sebbene i Network Marketer come me siano abituati a sentire erroneamente accusare di piramidabilità solo le aziende per cui lavorino, che invece offrono a tutti indistintamente i mezzi per accrescere benessere personale e finanziario proprio a prescindere da qualsivoglia percorso formativo seguito e dagli esiti riportatine!).
Andare a scuola, e poi anche l'istruzione universitaria di massa, assumendo l'impossibilità di impartirsi autonomamente educazione ed istruzione, sono divenuti rituali ben codificati all'interno delle società umane e quasi unanimemente accettati irriflessivamente, cioè, in mancanza della consapevolezza circa i reali scopi per cui così tante energie vengano impiegate nella perpetuazione dei sistemi scolastici: la coartazione di milioni di persone nelle aule scolastiche fin dalla più tenera età è giustificata con la necessità di apprendere ciò che servirà a sé nella vita e si viene educati pure a pensare che l'apprendimento richieda la parcellizzazione dei contenuti da apprendere in "materie" e la verifica del buon esito del processo attraverso esami e quantificazione delle nozioni acquisite (assegnazione dei voti); in realtà, dietro alle idee di progresso e sviluppo cui ognuno di noi possa concorrere nei limiti delle proprie possibilità, si cela l'addestramento a vivere in una società consumistica in cui, come ho anche precedentemente fatto notare, ormai la formazione stessa è divenuta continuo mezzo di scambio: affermatasi l'idea che le conoscenze inevitabilmente risentano dell'obsolescenza, si induce il bisogno di aggiornare continuamente il proprio bagaglio culturale attraverso innumerevoli esperienze formative a pagamento, scambiando l'assegnazione di nuovi titoli col denaro, e, specie per quel che riguardi coloro che svolgano professioni ordinistiche, rendendo i professionisti sempre più insicuri riguardo alla propria preparazione, quanto facilmente gratificabili col conferimento di una nuova qualifica cui dovrebbe corrispondere una loro marcata intelligenza e determinazione nel migliorarsi costantemente!
Ivan Illich sosteneva che "le scuole combinano il privilegio per nascita con un nuovo privilegio, ma soltanto quando diventano obbligatorie possano combinare la mancanza di un privilegio per nascita con una discriminazione autoinflitta": altrimenti detto, e come svariate ricerche hanno dimostrato, quanti possano permettersi di investire ingenti somme di denaro nell'educazione dei figli ottengono che questi ultimi ricoprano ruoli professionali prestigiosi; attenzione: esiste una stretta correlazione tra il denaro speso per l'istruzione d'una persona ed il reddito che potrà cumulare durante la sua vita lavorativa, non un'altrettanto dimostrabile relazione tra la competenza che si suppone abbia acquisito nella scuola e la sua efficienza sul lavoro! Sempre Illich così si esprime: "Le scuole che si basano su un libero accesso consentono l'individuazione di alcuni specifici obiettivi d'apprendimento che una persona può proporsi di raggiungere. Le scuole obbligatorie creano, invece, una popolazione inebetita, una popolazione cosiddetta istruita ed intellettualmente pretenziosa" (come nel caso dei laureati che esigano il lavoro per cui abbiano studiato!).
Secondo alcuni critici del suo pensiero, ad Illich sfuggiva il fatto che all'obbligatorietà dell'istruzione scolastica definito per legge si sarebbero progressivamente sostituite forme apparentemente meno pervasive di istruzione, eppure, in grado di riscuotere enorme successo: pensiamo soltanto a quello ottenuto dalla televisione ed oggi da ciò che avvenga online attraverso, ad esempio, i canali di YouTube: esistono miliardi di tutorial che sembrano poter insegnare alla gente come fare qualsiasi cosa e, soprattutto, esiste un pubblico vastissimo di potenziali fruitori dei servizi che vengano indirettamente promossi e disponibile a spendere denaro per colmare le lacune che senta di avere (o sia indotto a credere di avere)! Di fatto, l'autore tenne a precisare non considerasse le scuole il solo strumento per creare, stabilire e consolidare negli animi il mito dell'istruzione, anzi, concepisse numerosi altri modi con i quali possiamo trasformare il mondo in un'aula universale anziché descolarizzarlo!

Non solo le masse sono state indotte a percepire bisogni che altrimenti non sarebbero esistiti, ma sono state create anche modalità di acquisto di prodotti e servizi in grado di renderle dipendenti e manipolabili dalle imprese creditizie, quali cambiali e pagamenti rateali e successivamente le carte di credito, senza poi dimenticare il fatto oggigiorno vogliano esserci imposti i soli pagamenti elettronici per acquisire un controllo completo delle abitudini di vita di ciascuno di noi su scala globale. Avvenne, dunque, il passaggio da modalità di consumo sostanzialmente rimaste invariate per millenni al consumismo, cioè, la trasformazione da fruitori di prodotti e servizi secondo reali necessità a consumatori che non debbano mai sentirsi completamente appagati da ciò che posseggano affinché siano indotti a comprare altre merci, prodotti la cui obsolescenza sia programmata e servizi di cui potrebbero fare a meno, se non fosse che siano spinti a reputarli congeniali a coloro che davvero valgano e vogliano dimostrarlo! In definitiva, perché si potesse affermare il consumismo non poteva assolutamente essere accettata la staticità degli acquisti, il consumo di prodotti o la fruizione di servizi secondo reali necessità degli utilizzatori e ritmi in accordo coi naturali processi di rigenerazione delle risorse naturali!

Di per sé, vivere insieme fu la migliore decisione dei nostri progenitori, poiché insieme gli uomini possono soddisfare le proprie esigenze meglio di quanto potrebbero mai fare da soli: progressivamente, ci si è resi interdipendenti e si è dato vita al libero mercato, cioè, a scambi volontari mutuamente vantaggiosi; qualsiasi prodotto o servizio presuppone ormai che un numero forse perfino indefinibile di persone nel mondo concorra alla sua offerta sul mercato, partendo dall'ideazione, passando per il reperimento delle risorse e la loro trasformazione, per poi arrivare alle modalità di distribuzione ed alle strategie di marketing: sotto questo punto di vista, tutti consumiamo, cioè, preferiamo godere del lavoro di innumerevoli persone piuttosto che impegnarci autonomamente nella produzione di qualcosa e ciò può essere ammissibile. Il problema sono state le estreme conseguenze cui tale stile di vita diffusosi su scala globale abbia comportato!
Secondo coloro che strenuamente difendano il capitalismo ed il libero mercato, laddove si siano affermati ne hanno tutti tratto vantaggio: certamente coloro che detenessero i capitali ed i mezzi di produzione, ma anche le masse di consumatori che abbiano potuto migliorare la vivibilità delle loro abitazioni, la comodità dei viaggi attraverso le automobili ed almeno apparentemente, alimentazione e salute, mentre i prezzi d'ogni cosa inesorabilmente scendessero e consentissero a larghissime fasce della popolazione di far cose prima impensabili. L'opportunità di soddisfare le proprie ambizioni ed ampliare la gamma dei desideri avrebbe perfino costituito la molla del progresso e rappresentato la sola vera forma di giustizia sociale mai datasi; per converso, oggi comincia a diffondersi l'idea che solo recuperando la sobrietà dei costumi e dei consumi si potrà nuovamente assicurare autentico benessere all'umanità.
Questo post, comunque, vuole continuare ad essere precipuamente incentrato sul mondo dell'università e secondariamente sulla scolarizzazione di massa affermatasi nelle società occidentali: i cambiamenti radicali che hanno accompagnato l'ingresso nel nuovo millennio dovevano teoricamente servire a centrare obiettivi come l'aumento dell'autonomia finanziaria e quelli di cui si parlasse con addirittura maggiore enfasi come l'aumento della produttività didattica (quindi, del numero di laureati per colmare il divario rispetto agli altri paesi europei), la contemporanea significativa riduzione del numero di studenti fuori corso e la creazione di percorsi di studio che concretamente favorissero l'ingresso nel mercato del lavoro.
Tali obiettivi sono stati per lo più mancati: il numero dei fuori corso, ad esempio, non è mai realmente sceso significativamente, tanto meno si è giunti all'azzeramento, come pure i proclami più ottimistici dichiarassero possibile; è però diminuito il numero di vincitori di borse di studio e contemporaneamente è aumentato l'ammontare delle tasse universitarie (mediamente, è raddoppiato!); molti corsi, rivelatisi poco attrattivi e perciò improduttivi, sono stati presto chiusi e si è subito preso a parlare di
aziendalizzazione delle università, cioè, della necessità di trasformarle in aziende che possano rimanere attive e competitive finché in grado di generare/massimizzare profitti e quindi necessitino di appaltare ai privati perfino i servizi essenziali per il godimento del diritto allo studio, come le mense e gli alloggi espressamente approntati per gli studenti.
Si è lentamente passati da università che dovessero e potessero compiere attività di ricerca e consulenza a beneficio di enti pubblici e privati, a condizione che ciò non interferisse coll'abituale svolgimento delle attività istituzionali, ad università costrette ad operare maggiormente a beneficio altrui (competitori in un mercato ormai globale che commissionino ricerche e consulenze), piuttosto che ad impegnarsi in attività didattiche e di ricerca pura pur di mantenere attivi i propri bilanci aziendali!

E' interessante notare che, nella gran parte almeno dei corsi di studio, l'organizzazione didattica comporti la cosiddetta liceizzazione, cioè, un effetto non espressamente ricercato dai riformatori eppure, ineludibile: gli studenti non sono liberi di decidere autonomamente quanto tempo dedicare alla frequenza delle lezioni e quanto riservarne allo studio da casa, semmai, sono costretti a trascorrere un tempo abnorme in facoltà e ad accorciare conseguentemente i tempi da riservare a qualsiasi altra occupazione, specie se dilettevole.
Parlo per esperienza personale, poiché, tra le tantissime iniziative che abbia intrapreso nel corso degli anni per sbloccarmi lavorativamente, posso annoverare la frequenza di un corso delle professioni sanitarie che sembrava poter finalmente mutare le sorti professionali della quasi totalità di coloro che vi risultassero iscritti pur essendo già laureati: mi sono ritrovato a trascorrere in sede gran parte delle mie giornate, spesso senza nemmeno far lezione, ma attendendo invano che i docenti si degnassero di raggiungere la sede decentrata in cui esperissi alienazione insieme a compagni di sventura per lo più over trenta; proprio il fatto fossimo adulti e già laureati rendeva surreale i continui tentativi di liceizzarci (infantilizzarci!) dei nostri docenti e cordinatori, senza contare il fatto fosse richiesto di rispettare troppe propedeuticità nel sostenimento degli esami e fossimo costretti a sostenerli "in blocco", cioè, tre/quattro (fino a sette!) materie assieme, dovendo ripetere gli esami già dati nel caso non avessimo superato anche solo uno di quelli costitutivi del "blocco" (dovendo aggiungere molti corsi costituissero la copia di quelli precedenti e servissero esclusivamente a mantenere elevato il numero di cattedre da poter assegnare annualmente), oltretutto, senza che il numero degli appelli risultasse mai appropriato ai ritmi che fossimo richiesti di sostenere: insomma, un autentico trionfo dell'insensatezza e del sadismo da parte di docenti e cordinatori che tanto più godevano, quanto più potevano ricordarci ci fossimo già laureati eppure, non ci fosse servito a nulla! Naturalmente, quando abbia dovuto arrendermi all'evidenza dell'insensatezza di tutto ciò che mi ritrovassi a fare e quanto più leggessi di orde di "professionisti della salute" sfornati dalle università di cui altre aziende (quelle sanitarie) non avrebbero mai saputo che farsene, e con l'unica prospettiva di eventualmente ritrovarmi a dover praticare malvolentieri un certo lavoro a partita iva, anziché qualunque altro che la richiedesse ma potesse piacermi di più, ho concluso senza rimpianti tale esperienza! Ugualmente l'hanno conclusa quei colleghi di corso che non potessero farsi mantenere dalle famiglie o che, pur avendo un lavoro, non contassero di sopravvivere al sovrapporsi di impegni familiari, lavorativi o di studio, sebbene la brevità dei nuovi corsi e le promesse di rapida professionalizzazione ed inserimento lavorativo avessero allettato proprio quanti provenissero dai comparti più economicamente disagiati della società (tale nota resta valida con riferimento non soltanto alla mia esperienza diretta, ma ai dati statistici che presentino numerose ricerche)!

Nelle attuali società economicamente e tecnologicamente avanzate, è irrevocabilmente in corso un processo da taluni definito proletarizzazione dei laureati, consistente nell'occupazione in misura crescente di posti di lavoro un tempo a disposizione dei diplomati, o perfino di chi non possedesse alcun titolo di studio, da parte dei laureati; non solo: anche se, prima o poi, tutti lavorano, resta elevato il numero di coloro che lo facciano precariamente ed a tempo determinato, anche dopo molti anni dalla laurea e di coloro che, specie se in possesso di lauree di tipo politico-sociale, letterario o linguistico, svolgano attività in cui la laurea non sarebbe in realtà necessaria. Si potrebbe anche dire che ad un elevato fabbisogno di capacità cognitive nondimeno corrisponda un notevole sfruttamento del lavoro immateriale e che il solo modo per davvero valorizzare il proprio capitale cognitivo (capacità cognitive, talenti, idee, creatività) sia rinunciare alla ricerca di lavoro subordinato e, approfittando della trasformazione digitale della società, dello sviluppo dell'economia collaborativa e delle cosiddette aziende – piattaforma mirare a rimanere attivi nel mercato del lavoro, offrendo prodotti e servizi a prezzi competitivi, in grado di soddisfare le attese di ogni nicchia di mercato individuabile. Aziende e lavoratori, insomma, intratterranno rapporti fluidi, non più imperituri, così come dimostrato dal turn over degli studenti chiamati a prestarvi temporaneamente la loro opera e facilmente sostituibili, a meno che qualcuno tra loro non riveli di possedere capacità tali da risultare conveniente tornare a servirsene.

La più significativa innovazione introdotta nel mondo universitario nel '99, ossia, la distinzione tra lauree di primo e secondo livello, sancisce profonde differenze non tanto tra coloro che riescano ad accedere all'università e quanti rinuncino alla propria formazione universitaria magari dopo essersi imbattutti nel numero chiuso, ma soprattutto tra coloro cui sia consentito di accedere ad un sapere nozionistico e parcellizzato, che possa al massimo procurare un lavoro precario, ed un più esiguo numero di studenti che possano ricevere un'istruzione più completa come quella che assicurassero i vecchi corsi quadri/quinquennali, i quali, teoricamente, dovrebbero costituire la futura classe dirigente del Paese; nell'uno come nell'altro caso, comunque, la vigente normativa prevede che le conoscenze vengano continuamente aggiornate passando dal cumulo dei cfu a quello degli ecm (o equivalenti, secondo le professioni), ciò sostenendo il business della formazione imperitura che, come già ho avuto modo di scrivere, rechi vantaggio più alle migliaia di enti di formazione ormai esistenti (compresi gli stessi atenei), che ai forzati della formazione! Si potrebbe altresì dire siano state precarizzate indissolubilmente formazione e professioni!
A mio avviso, uno dei pochi cambiamenti positivi intervenuti, sia pure sul piano pratico e non formale, corrisponde all'indebolimento del valore legale dei titoli di studio rilasciati dalle università italiane (cui sono stato sempre assolutamente contrario): se già in passato non si poteva quasi mai assimilare la difficoltà di un percorso di studi affrontato in atenei diversi (salvo essere tacciati di vanagloria e classismo quando si facesse notare che studiare ad esempio alla Sapienza richiedesse sforzi maggiori rispetto ad un piccolo ateneo in cui lo stesso corso di laurea fosse stato peraltro istituito da pochissimi anni e non ancora nemmeno autorizzato a svolgere gli Esami di Stato per quanti vi si laureassero), a maggior ragione oggi non si può pensare che diversi atenei possano richiedere gli stessi sforzi per laurearsi e garantire identica preparazione qualora non siano in grado di offrire opportunità formative assimilabili per quantità e soprattutto qualità.
Trovo invece reprensibile che la formazione erogata agli studenti sia precipuamente determinata dalle esigenze delle imprese locali, dunque, che essi risultino piegati agli interessi altrui e vengano oltretutto fatti lavorare gratuitamente poiché debbono svolgere degli stage e non siano invece gli atenei a porsi al servizio di coloro che pur ne consentano l'esistenza (in pratica, le imprese locali possono almeno in gran parte determinare i contenuti dei corsi di studio, formare personale per i propri scopi ma con soldi pubblici, dunque, azzerare il costo del lavoro per sé, senza però garantire un reale assorbimento della forza lavoro creata nel lungo termine)!

Secondo diversi autori, l'università italiana è diventata una "fabbrica di precari" o "fabbrica delle illusioni" che, a seconda del percorso formativo che venga ultimato, consente l'acquisizione di conoscenze basiche o più professionalizzanti in un determinato ambito disciplinare secondo criteri di accesso a tali percorsi formativi stabiliti dagli atenei e conseguentemente, l'acquisizione di lauree che si potrebbero semplicisticamente definire di serie C o B (più numerose) oppure, di serie A (riservate ad un'esigua cerchia di iscritti). Si individuano tre tipologie di laurea, perché si è progressivamente passati dall'impianto 3 + 2 (laurea più eventuale laurea specialistica) ad un impianto che prevede attività didattiche uguali per tutti per un totale di sessanta cfu ed una successiva differenziazione dei percorsi formativi nei successivi due anni ed eventuali altri due!
Due le conseguenze su cui riflettere: coloro che acquisiscono conoscenze basiche, sostanzialmente finiscono col costituire una massa di "cercatori d'impiego" che le imprese possano facilmente spostare da un settore produttivo o servizio ad un altro secondo proprie contingenti esigenze, mentre quanti conseguano un titolo più professionalizzante nondimeno subiscono un ulteriore deprezzamento del valore legale dei titoli rilasciati dalle università italiane, poiché essi debbono riportare chiare ed ovviamente restrittive indicazioni relative ai percorsi formativi seguiti dagli studenti, diversamente da ciò che avvenisse in passato (come posso personalmente confermare).
Rispetto all'epoca in cui si facessero corrispondere al totale dei cfu acquisibili col superamento di un esame determinate ed inderogabili ore di frequenza obbligatoria delle lezioni, si è poi passati a richiedere/consentire un numero maggiore di ore da riservare ad "attività formative di tipo individuale" ossia, un numero maggiore di ore riservabile ad attività come "stages e tirocini formativi presso imprese, amministrazioni pubbliche, enti pubblici o privati, ivi compresi quelli del terzo settore, ordini e collegi professionali, sulle base di apposite convenzioni": in pratica, si è dato il via libera alla gratuità del lavoro in azienda in cambio del conferimento delle lauree ed alla precarizzazione del lavoro, pur, ovviamente, salvaguardando la forma e specificando che il numero di ore da riservare allo studio possa essere ridotto anche significativamente, purché le attività con cui sostituirlo presentino "elevato contenuto sperimentale o pratico". Si è altresì passati dall'istruzione che un tempo impartissero le università e si assumeva potesse valere per sempre, od al massimo essere aggiornata secondo il riconoscimento di tale necessità del singolo professionista, ad una formazione debole in partenza ed obsolescente per principio, dunque, da aggiornare obbligatoriamente secondo precisi criteri altrui!

Di fatto, l'aziendalizzazione delle università presupporrebbe poi che gli studenti ne venissero considerati clienti, fruitori di un servizio ed oltretutto in grado di valutarlo appropriatamente, così come l'utente di qualsiasi altro servizio dovrebbe essere in grado di valutare la corrispondenza tra le proprie aspettattive e quanto concretamente offertogli: in definitiva, iscriversi all'università equivarrebbe oggi alla stipula di un contratto, ma risulta difficile stabilire a quali condizioni lo si possa ritenere onorato; l'"efficacia interna" dell'insegnamento può esser fatta corrispondere ai comportamenti tenuti dai docenti ed ai contenuti costitutivi delle loro lezioni che pongano gli utenti nella condizione di avanzare lungo il percorso formativo ed auspicabilmente apprendere ciò che possa servire per la futura professione, ma alcuni fanno notare essa contrasti con l'"efficacia esterna" dell'insegnamento, ossia, che ciò cui potrebbe assegnare valore un singolo studente in termini di contenuti usufruibili e modalità di fruizione della formazione, contemporaneamente potrebbe non corrispondere ai bisogni delle imprese locali e del tessuto sociale, che pure sostengono i costi della formazione universitaria attraverso liberi contributi o la tassazione: dunque, se in linea di principio è innegabile vada tutelata la qualità dell'insegnamento a beneficio dei singoli e della comunità cui appartengano, molto più arduo si rivela anche solo darne una definizione ed incauto assegnare ai soli fruitori del servizio il compito di valutarla!
Rispetto alle esigenze della comunità, l'efficacia o, meglio ancora, l'efficienza dell'insegnamento universitario potrebbe essere posta in relazione ai tempi ed ai modi dell'inserimento dei laureati nel mercato lavorativo, tenendo conto di ineludibili ed ingravescenti difficoltà ad inserirvisi: di fatto, il possesso di una laurea è sempre meno garanzia di un lavoro stabile e spesso i laureati si trovano a svolgerne che non ne richiedano nemmeno formalmente.
Sin dalla prima significativa riforma del sistema universitario degli ultimi venti anni – risalente all'emanazione del D. Lgs. n° 509/'99 –, sarebbe aumentato il numero delle immatricolazioni, ma non sono migliorate le condizioni lavorative e reddituali dei laureati e ciò indipendentemente dalla "crisi economica" impostaci dal 2008 in poi; l'aumento del numero delle immatricolazioni è cioè fittizio, in quanto le università hanno caldeggiato il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento per i molti studenti che si trovassero a vivere la transizione normativa e magari fuori corso da diversi anni e contemporaneamente conteggiato come laureati indipendenti gli stessi soggetti che, nella realtà, semplicemente conseguissero dapprima la laurea triennale, poi quella specialistica (anch'io mi sono ritrovato a poter scegliere di "accorciare" il mio percorso formativo quando fossi già fuori corso e dopo un'attenta valutazione degli eventuali vantaggi che potesse offrirmi la cosa, ho fieramente deciso di proseguire secondo il previgente ordinamento quinquennale!).
L'aumento delle iscrizioni all'università è anche da porre in relazione al numero considerevole di studenti iscrittisi ai licei negli anni precedenti la riforma (iscrizione all'università quale inevitabile conseguenza della maturità liceale) ed il progressivo miglioramento del livello di istruzione dei genitori, i quali auspicano un ulteriore miglioramento del benessere per i propri figli, fatto ancora coincidere col conseguimento d'una laurea e delle posizioni lavorative cui consentirebbe di aspirare (ed effettivamente non accedere!). Bisogna però rilevare che, rispetto al passato, sia aumentato pure il tasso di abbandono dell'università, ossia, che la consistente scrematura che prima avvenisse dopo il diploma tra aspiranti studenti universitari ed effettivi immatricolati ai corsi, sia stata semplicemente rimandata di alcuni anni, andando a coincidere con mancati accessi ai corsi di laurea specialistica da parte di coloro che provengano da famiglie poco istruite ed operaie e scuole diverse dai licei (unica nota positiva, l'abbassamento, sia pur non sensibilissimo, dell'età al conseguimento tanto del titolo triennale, quanto specialistico). Come già scritto, per lo più, nelle piccole e medie imprese italiane, i laureati hanno progressivamente sostituito i diplomati ormai pensionabili, svolgendo, cioè, mansioni che non richiedessero una laurea e dovendosi accontentare anche in termini economici del trattamento riservabile ai soli diplomati: nei casi più sfortunati ancora, sono stati assunti con contratti a tempo determinato, che hanno ulteriormente contribuito alla precarizzazione dei giovani italiani.
In quest'occasione, farei poi brevemente riferimento ai cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Training), ossia, all'ingravescente numero di ragazzi italiani non impegnati in percorsi formativi, di riqualificazione professionale od impiegati, i quali la scuola e l'università le rifiutano proprio, non riuscendo a considerare l'istruzione funzionale al proprio smarcamento sociale come in passato (semmai, come se il tempo da impiegare nello studio dovesse essere stupidamente sottratto alla rincorsa dell'autoaffermazione attraverso canali diversi da quelli tradizionali): incolti e psicologicamente fragili, disillusi e rassegnati a vivere in una società in cui rivestano importanza solo gli status symbol che si possano ostentare e conquistare aggressivamente, ed effettivamente spesso disposti a tutto pur di conquistarli, ridotti al ruolo di consumatori finché riescano a procurarsi denaro con qualsiasi mezzo, cui sia richiesto di essere seduttivi e trasgressivi al punto di travalicare continuamente confini che fino a pochissimo tempo prima potessero sembrare invalicabili, costituiscono il bersaglio privilegiato delle onnipresenti campagne pubblicitarie online ed offline e sono le vittime remissive dei programmi di ingegneria sociale che mirano a desacralizzare il matrimonio, scardinare la famiglia, fomentare un individualismo sempre più spinto che gratifichi nell'immediato e renda irrisolvibile il senso di smarrimento per il futuro.
Può sembrare che questi giovani vivano delle vite desiderabili poiché contrassegnate dal rapido succedersi di tante diverse attività e dall'aumento dei follower sui social network, mentre precorrono le tappe d'uno sviluppo psicologico sereno e si abituano a consumare prodotti culturali (serie tv, reality show, musica...) che esasperano l'espressione delle emozioni e la competizione interindividuale e mai educano all'impiego della razionalità per affrontare le situzioni in cui ci si possa venire a trovare coinvolti! Sarebbe invece opportuno valorizzare quanti riuscissero ad esprimere la propria individualità e non accettassero che "la cultura sia una cosa e la vita un'altra": la cultura tornerebbe allora a differire enormemente dal nozionismo e dall'uso utilitaristico che si venga addestrati a farne per conquistare un posto di lavoro, vivere per lavorare, consumare, morire quando non si fosse più in forze per continuare così!

Ripensando a tutte le volte che, nel corso degli anni, sia stato personalmente capace di ridefinire la mia identità professionale e concretamente soddisfare i miei bisogni, e soprattutto al prevalere dei periodi di serenità e soddisfazioni, concludo che valga la pena puntare sulle proprie inclinazioni per procedere lungo il cammino della vita; ho svolto lavori diversissimi tra loro e che quasi mai richiedessero i titoli che avessi acquisito fino ad allora, ma non mi è mai importato, poiché ogni esperienza lavorativa ha comportato una contemporanea maturazione come individuo in sé ed ho fatto dell'adattabilità ai cambiamenti il mio più autentico punto di forza: davvero non ho mai invidiato, ed anzi ho guardato loro con compassione, coloro che, partendo dalle mie stesse esperienze di studio e tirocini vari, si siano sì talvolta apparentemente meglio "sistemati" (il che significa percepiscano uno stipendio fisso), ma non si rendano conto che la loro vita si riduca a mantenersi sani quel tanto che basti per poter continuare a lavorare e pagare il mutuo d'una casa (ne conosco che dovranno farlo per quarant'anni!!!), più tutto ciò che serva per dare di sé un'immagine apparentemente invidiabile, cioè, bella auto, bei vestiti, vacanze in luoghi cosiddetti esclusivi, naturalmente quando giungano periodi in cui le aziende consentano che ciò avvenga, e tutto ciò per continuare a pagare i costi del mutuo e degli arredi di una casa in cui vivano delle vite di coppia sovente insoddisfacenti e che, naturalmente, dovranno poi intestare a figli che perpetueranno questo triste copione nel tentativo di ottenere ancor più cose materiali ed indebitarsi per farlo! In definitiva, persone che vedranno, diranno e faranno le stesse cose per il resto della loro vita, molte delle quali, alla fine, non saranno nemmeno più in grado di concepire la meraviglia di orizzonti più ampi e colorati! Non ho finora guadagnato le cifre che vantino altri - e quasi sempre millantino! - con nessuno dei lavori che abbia svolto, neanche col Network Marketing, tuttavia, ho la soddisfazione di aver reso la mia vita il miglior capolavoro che potessi creare coi mezzi cognitivi, culturali ed ambientali che potessi utilizzare, ed ho naturalmente anche creato un network di contatti non numeroso quanto altri, ma sicuramente costituito da almeno alcune persone sulle quali possa fare autentico affidamento!
Potrei concludere scrivendo abbia sempre avuto chiaro un obiettivo nella vita: far qualcosa che mi consentisse di essere utile agli altri mentre lo fossi per me stesso: ci sono riuscito lavorando come educatore, tirocinando come psicologo, coadiuvando mio padre in quel che fosse la sua piccola impresa finché è esistita e certe volte degli amici che mi offrissero di affiancarli quando rimanessi fermo altrove – senza poter enumerare tutti i progetti che nascessero online ed abbia seguito con passione fino a concentrarmi sui pochi attuali –, e sono certo che potrò sempre meglio riuscirvi pure in veste di Network Marketer. Sono stato determinato circa l'obiettivo da raggiungere, ma flessibile nel ridisegnare i percorsi che mi potessero consentire di farlo. Mi fa piacere evidenziare il Network Marketing non richieda un predefinito percorso formativo preparatorio allo svolgimento dell'attività, dunque, rappresenti una formidabile opportunità di miglioramento personale ed economico magnanimamente offerta a tutti e contemporaneamente possano avervi successo solo coloro che siano in grado di eccellere in contesti meritocratici!

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